Comunità Educante con i Carcerati

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L'obiettivo di aiutare i detenuti a ricostruire la propria vita, a rientrare nella società e a ridurre il rischio che commettano nuovi reati è al centro del progetto CEC (Comunità Educante con i Carcerati). Nato nel 2004 grazie all'impegno della Comunità Papa Giovanni XXIII, questo programma offre un'alternativa concreta al carcere tradizionale, concentrandosi sull'accoglienza, sulla responsabilizzazione e sul supporto nel percorso di reinserimento sociale dei detenuti.

Il sistema carcerario, nella sua forma attuale, presenta grosse criticità, soprattutto per quanto riguarda la sua capacità di ridurre la recidiva. Le statistiche mostrano che circa il 75% delle persone che escono dal carcere commettono nuovamente reati. Questo dato solleva interrogativi profondi sull'efficacia del modello detentivo, che sembra garantire la punizione, ma non sempre la riabilitazione. Grazie a questo progetto, invece, i carcerati che scontano la pena, accolti in apposite strutture, vengono rieducati attraverso esperienze di servizio ai più deboli nelle cooperative dell’associazione.

Cosa significa C.E.C.? Comunità fatta di carcerati, ma anche di volontari e di educatori: insieme ci si aiuta, si lavora, si cercano soluzioni nuove per affrontare i problemi che si incontrano nel cammino di recupero. Educante perché vuole scoprire e valorizzare le potenzialità di ognuno. Con i Carcerati, e non per i carcerati, perché il carcerato non è l’unico destinatario dell’azione educativa: tutta la società si educa alla solidarietà e ai valori di una nuova umanità attraverso il rapporto con i volontari e gli educatori

Il cuore pulsante del progetto

Coinvolgimento

Il coinvolgimento abbraccia la società civile locale attraverso volontari formati e motivati, il recuperando a cui vengono affidati vari compiti con la supervisione degli operatori responsabili, la famiglia di origine, attraverso il recupero delle relazioni e il superamento dei conflitti, essenziale per il buon esito del percorso educativo

Formazione

La formazione riguarda quella professionale basata sull’orientamento al lavoro, indispensabile per costruire il proprio futuro; quella umana, con la responsabilizzazione e valorizzazione dei meriti di ogni recuperando, l’ascolto di testimonianze positive di vita e incontri quotidiani individuali e di gruppo; quella spirituale, offrendo l’occasione di mettere in crisi i principi che orientano alla vita delinquenziale per sostituirli con principi più sani.

"Una giustizia che educa e accoglie è più efficace di una giustizia che vuole solo punire."
Don Oreste Benzi

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"Una giustizia che educa e accoglie è più efficace di una giustizia che vuole solo punire". Questa affermazione di don Oreste ci invita a riflettere su come sia necessario passare dalla certezza della pena alla certezza del recupero.

Questo era il sogno di don Oreste

Lo sapevi che

Il progetto si articola in tre fasi:

Prima fase - regime chiuso

Nella prima fase, il recuperando conosce la proposta nel dettaglio e dopo un determinato numero di mesi firma la decisione di aderire al progetto attraverso la sottoscrizione consapevole di un patto educativo. L’equipe educativa affianca al recuperando un volontario, che lo seguirà sino alla fine del percorso. In questa prima fase, il recuperando è concentrato nella rielaborazione del proprio vissuto attraverso frequenti incontri personali e di gruppo, la stesura del resoconto e l’insieme degli strumenti offerti dal programma educativo. L’organizzazione della vita quotidiana è strutturata in modo da favorire la presa di coscienza dei propri limiti e delle proprie fragilità e contemporaneamente per valorizzare i propri pregi e capacità.

Seconda fase - regime semiaperto

Nel regime semiaperto il recuperando, pur mantenendo l’impegno sul piano interiore, viene impegnato maggiormente nelle attività occupazionali ed terapiche. Vengono favorite occasioni di formazione professionale anche attraverso stage o tirocini formativi. Vengono in questa fase concesse maggiormente le possibilità di uscite accompagnate, i contatti con i famigliari si fanno più frequenti.

Terza fase - regime aperto

Il recuperando, quando le condizioni lo permettono dal punto di vista delle prescrizioni e del cammino individuale, ha la possibilità di potersi mettere alla prova attraverso tirocini esterni o lavori regolarmente retribuiti anche nelle sedi occupazionali collegate al Progetto CEC. Il recuperando ha la possibilità di gestire direttamente il denaro e l’uso del cellulare. Viene favorito lo sviluppo di relazioni sociali esterne con la supervisione di educatori e volontari.

Grazie a te, tante vite trovano una nuova direzione

La vita di Jurghen è stata segnata da una serie di eventi che lo hanno portato in carcere in giovane età. La prigionia gli ha strappato via tutto: l'amore di sua figlia, l'affetto dei genitori e l'amicizia di chi gli era vicino. Si è ritrovato solo, abbandonato a se stesso, in una situazione di profonda disperazione.

In carcere, ha accolto ogni avversità come una giusta punizione, arrivando a desiderare il dolore che gli veniva inflitto, perché convinto di meritarselo per il male compiuto. Durante gli anni di reclusione, il supporto psicologico è stato quasi inesistente, privandolo di un vero percorso di rieducazione. Il progetto CEC ha rappresentato per Jurghen una svolta: ha iniziato a riscoprire se stesso, a guarire dalle ferite che lo avevano portato a commettere reati. La sua infanzia, segnata dalla mancanza di affetto e dalla figura di un padre alcolizzato, lo aveva reso dipendente dall'approvazione e dall’amore altrui per essere felice.

Ha imparato a confrontarsi e collaborare con gli altri, a corregggere i loro difetti come se fossero anche i suoi, trovando nella solidarietà reciproca un percorso di guarigione. Ha compreso la gravità dei suoi errori, superando la tendenza a trovare sempre una giustificazione per il male commesso. Il riavvicinamento alla madre ha segnato un passo importante nel suo percorso di recupero.

Gli strumenti offerti dal progetto lo hanno aiutato a far emergere il meglio di sé, a riconoscere che in ognuno di noi è fatto per il bene. Ora, il suo desiderio è quello di rimanere all’interno del progetto per testimoniarne il potere trasformativo. Vuole incoraggiare chi arriva dopo di lui a credere nel percorso di recupero, a trasformare le proprie debolezze in punti di forza, proprio come sta facendo lui, scoprendo e affrontando i problemi che aveva sempre ignorato.

Di origini etiopi, ma con l'accento bolognese (dove è cresciuto), Angelo è finito la prima volta in carcere a soli 16 anni. Ora a 50 anni ne esce nella speranza che sia per l'ultima volta. Ad accoglierlo ci sono i volontari e gli operatori del progetto CEC di "San Facondino" a Saludecio, un abbraccio di speranza per un uomo che, nonostante tutto, conserva ancora l'entusiasmo di un bambino. Il progetto è stato per Angelo una rinascita: ha riscoperto valori che aveva smarrito fin dalla giovane età, quando la sua vita ha preso una piega sbagliata. Ora si sente salvato, strappato a un mondo di rabbia e delinquenza che lo aveva inghiottito. Ha imparato a relazionarsi con gli altri, a superare le difficoltà che lo avevano sempre spinto a fuggire.

La sua infanzia è stata difficile, segnata dall'assenza di una guida: suo padre, anziano, e sua madre, gravata dal peso di cinque figli, non sono riusciti a dargli le attenzioni di cui aveva bisogno. Questa mancanza lo ha portato a commettere errori, a "farla pagare" agli altri. Ma ora, grazie all'amore, all'ascolto e le attenzioni ricevute, ha compreso il valore della vita, un valore che suo fratello, morto in carcere, non ha avuto la possibilità di scoprire.

Dopo due anni all’interno dalla comunità che lo ha accolto per terminare di scontare la sua pena, Angelo si prepara a tornare nel mondo. La paura è tanta, la comunità è stata una protezione, una sicurezza. Ma Angelo ora ha fiducia in sè, ha imparato a donarsi, a fare del bene, accompagnando disabili e ragazzi in difficoltà. Ha scoperto la gioia del volontariato, la consapevolezza che la sua vita può essere un dono per la società.

Ha imparato anche a prendersi cura degli animali, coltivare la terra, amare le piante: attività semplici, ma che gli hanno permesso di riscoprire un lato di sé che non conosceva. La natura è diventata per lui un rifugio: la campagna, con la sua quiete, gli ha permesso di trovare se stesso e la pace interiore. Angelo sa che questo è solo l'inizio di un nuovo cammino, un cammino di speranza e di rinascita.

La storia di Antonio è quella di un uomo che in carcere ha incontrato la luce della speranza: i volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII che gli hanno offerto la possibilità di partecipare al progetto CEC. Un'opportunità che ha segnato l'inizio di una nuova vita.

Finalmente, Antonio ha trovato persone capaci di ascoltarlo, di comprendere i suoi silenzi e quel dolore che da anni custodiva nel cuore, che non era mai riuscito ad esprimere a nessuno. Fin da bambino, si era sentito un peso, mai amato per ciò che era. La sua ricerca di valore e indipendenza lo aveva condotto sulla cattiva strada, a un gesto disperato, quasi come se fosse una richiesta di aiuto.

Ma attraverso il progetto CEC, Antonio ha scoperto un amore incondizionato, ha riscoperto i suoi talenti e il suo valore come persona. Ha compreso le radici del suo malessere, le ragioni che lo avevano spinto sulla strada sbagliata. Ora, con questa nuova consapevolezza, guarda al futuro con un desiderio ardente: restituire agli altri l'amore e l'affetto che ha ricevuto, diventando a sua volta portatore di speranza.

Un uomo recuperato non è più pericoloso, mentre la giustizia vendicativa produce persone che scelgono di nuovo la via delinquenziale. Il progetto CEC è un’ alternativa concreta all’attuale sistema carcerario, costoso e inumano, inefficiente e degradante.

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